I POPOLI DEL VENEZUELA E DEL MONDO, ASSIEME A QUELLO DEGLI USA PRONTI A SCONFIGGERE LA PROVOCAZIONE IMPERIALISTA!

Sabato 2 febbraio, le masse bolivariane hanno confermato nelle strade di Caracas la loro completa adesione allo stato rivoluzionario venezuelano. Se il governo Maduro è riuscito ad arrivare fin qui saldo nel potere e garantendo le principali conquiste sociali raggiunte, malgrado la guerra economica e politica lanciata unilateralmente dagli USA, è appunto perché l’appoggio popolare alla sua gestione non è mai venuto a meno. Tiene salda l’unità tra popolo e leadership, tra popolo e prospettiva socialista. Gli USA, l’oligarchia locale e latino-americana, i gruppi dirigenti delle corporazioni, hanno provato a rompere questo forte legame sociale, e hanno fallito. Non solo, si rafforza invece la fiducia delle forze armate che appoggiano con impegno sia lo stato rivoluzionario che la prospettiva socialista. Questo ennesimo tentativo golpista, dopo quindici anni di blocco e provocazioni economiche di ogni tipo, di guerra mediatica e guerreggiata, con le scorribande di squadracce che seminano terrore e morte, sembra ormai incamminarsi verso la stessa fine.

Ci troviamo davanti alla più buffa rappresentazione di un colpo di stato nella storia latino-americana, un idiota si autoproclama “presidente interino” e le grandi potenze “democratiche” lo appoggiano pubblicamente al punto di invadere il Venezuela se necessario per imporlo! E non poteva essere altrimenti, l’imperialismo prepara la guerra al paese di Bolivar, nelle peggiori condizioni della storia. Oltre alla ferrea resistenza di un popolo consapevole, Trump farebbe bene in considerare che questa volta lo scenario di guerra è alle porte di casa propria e non distante migliaia di chilometri, come gli scenari attuali. Quindi il movimento pacifista nordamericano si farà sentire di più, come l’ha fatto nelle recenti elezioni al congresso dove ha espresso una forte inclinazione antimperialista e di sinistra. Lo stesso Bernie Sanders si è pronunciato a favore di Maduro. L’armata USA dovrà essere attenta al reclamo popolare del proprio paese. Inoltre, si tratta di soldati appena rientrati sconfitti dalla Siria, falliti nel tentativo di scacciare Assad e Kamenei e di “ristabilire la democrazia” dopo anni di una guerra contro terroristi assemblati e armati dal loro governo e dai suoi alleati.

GUAIDO’ NON E’STATO VOTATO DAL POPOLO E NON LO VUOLE NESSUNO

E non va meglio nel mondo! Nelle Nazioni Unite (assemblea generale e consiglio di sicurezza senza veto alcuno) e nella OSA non passa la direttiva USA in favore di Guaidò. Inoltre, la Unione Europea è bloccata dalla mancanza di unanimità perché sono contrari Italia, Portogallo, Austria e Grecia. Mogherini e Tajani bleffano e danno ultimatum, poco dopo mettono la retromarcia fino a proporre il “gruppo di contatto” dietro la proposta di Messico e Uruguay; devono fare il conto di alcune perplessità nelle proprie file, anche della stessa Merkel. Siccome tutte le guerre in corso hanno provocato modifiche importanti nella ripartizione dei domini per il mondo, le potenze perdenti cominciano a farsi due conti per capire cosa possono realizzare di questa partita con Maduro. Il diretto beneficiario pare essere Trump, Guaidò gli ha già promesso il 50% della produzione di greggio. Figuriamoci quanto entusiasmo tra gli altri alleati.

L’opposizione di Russia, Cina, Turchia e, in America Latina, Messico, Bolivia e Uruguay ci dicono dell’isolamento internazionale degli USA e della possibilità certa di una estensione del conflitto. Non sarà ragionevolmente possibile circoscrivere il teatro della guerra e, men che meno, chiuderlo in tempi rapidi. Un area immensa coinvolta, tutta l’America Latina forse, e tempi lunghi faranno ripensare a più di uno. E’ quindi prevedibile il protrarsi di una crisi che colpirà prevalentemente Trump e i regimi di destra in America Latina, con ripercussioni anche in Europa. A maggio si vota per il parlamento europeo, poco dopo si voterà in Argentina, in questo scenario di scontro. In Europa, Teresa May è in minoranza e in seria difficoltà per uscire dall’UE, col riconoscimento di Guaidò si espone alla avanzata dei laboristi, con Corbyn contrario alla guerra in Venezuela. Macron fa il bullo con Maduro quando è in affanno davanti alla continuità dei “gilet gialli”; non risulta certo credibile quando da dell’usurpatore a Maduro. Il suo “rispetto dei diritti umani” è zero, nelle sfide dei sabati ha già provocato una ventina di morti, migliaia di feriti e altrettanti in prigione e Daspo a go’ go’.

L’Italia non riconosce Guaidò, come conseguenza della disputa tra le compagine del governo del “cambiamento”. Il M5S deve recuperare il vantaggio che si è preso la Lega di Salvini, soprattutto in vista delle europee. Quindi si scontrano su alcuni punti “di sinistrra”: No Tav, No Guaidò, fuori i soldati dell’Afganistan e tengono Salvini al suo posto sotto la minaccia di togliergli li immunità al senato. Questo atteggiamento italiano complica la necessaria centralizzazione delle grandi potenze, perciò arriva puntuale il monito “severo” da Mattarella. Come Napolitano ai tempi della Libia, garanti della costituzione o garanti della Nato?

Guaidò è un buffone ma è l’unico appoggio su cui possono contare i reazionari in Venezuela. Alla destra brasiliana gli è andata bene con Bolsonaro ma perché l’hanno rinchiuso in una clinica e la campagna è stata svolte da una macchina costosissima ma più efficace, che operava tra i social, big data e impediva di candidarsi a Lula. Con idioti come questi si può fare una campagna elettorale, magari vincerla, ma sarà difficile affidarli un colpo di stato importato interamente dall’estero e contro un popolo e forze armate molto motivati.

 

GLI USA NON VANNO SOLO PER IL PETROLIO

Certo è che tra gli interessi più importanti che muovono gli Stati Uniti contro il Venezuela bolivariano sono le sue risorse naturali, che le sono state strappate dal momento che il chavismo giunse al potere negli anni 90. La più grande riserva di greggio, ricchi giacimenti di oro, coltàn e altri materiali preziosi. Tutto di grande interesse per le multinazionali, per le grandi potenze e una forte boccata di ossigeno a una economia ferma e indebitata come quella americana che deve fare rocorso  allo shout down, ai dazi, ecc. Da quindici anni, gli USA, stanno mettendo in seria difficoltà il governo di Maduro mediante sanzioni, blocco degli scambi commerciali, ostacolando i conti bancari all’estero e le riserve in oro. La guerra economica mette in seria difficoltà l’economia venezuelana perché colpisce proprio il suo tallone di Achille: la forte dipendenza dall’estero sia per la commercializzazione del greggio prodotto che sia per l’importazione di ogni tipo di prodotto. Perché allora questa accelerata contro Maduro adesso? Perché non aspettare che la “crisi” economica facesse il suo corso, provocando più sfiducia e delusione?

Da un lato, la rete sociale costruita dal chavismo nel paese in tutti questi anni tiene e la destra resta confinata alle riserve indiane delle grandi città. I lavoratori, le masse bolivariane, non solo mantengono il forte legame con la propria leadership ma hanno tessuto una struttura dal basso solidale, di controllo e partecipazione che mitiga le conseguenze del boicottaggio internazionale. L’organizzazione territoriale, nei quartieri popolari, ha fatto passi importanti mediante i consigli comunali e di distribuzione e controllo (CLAP). Si è tessuta una rete che coinvolge i principali centri produttivi, con oltre millecinquecento imprese statalizzate, attraverso il controllo operaio e popolare di produzione e distribuzione. Una milizia popolare attiva e coordinata con le forze armate sta ottenendo buoni risultati nella lotta alla speculazione e corruzione. Quindi, finora, il blocco al Venezuela non ha prodotto grandi sconvolgimenti sociali interni e le forze armate sono in prima fila nella difesa di Maduro.

L’esperienza chavista è servita di esempio ai popoli e ai movimenti rivoluzionari di tutto il mondo. Passata la stagione delle sconfitte, il crollo dell’Urss, del “campo socialista” dell’est europeo e dei grandi partiti comunisti, la sfida di Hugo Chavez ha rimesso al centro la questione della trasformazione anticapitalista, antimperialista e socialista. In quella regione del mondo, la permanente resistenza di Cuba assieme alla rivoluzione bolivariana sono state alla base della commozione sociale che coinvolse tutta l’America Latina, i principali paese, durante gli ultimi venti anni.

Anche se adesso in Argentina e Brasile per il momento non se respira la stessa atmosfera, risultato della combinazione di errori importanti commessi dai rispettivi precedenti governi e di operazioni basate sul controllo assoluto dei mass media, della rete, etc. Leaders progressisti importanti sono stati oggetto di campagne persecutorie, infamanti e di condanne costruite ad arte. Fiumi di soldi sono arrivate a organismi “non governativi” e lobbies che hanno stimolato “rivoluzioni colorate” con cui hanno fatto fuori Zelaya, Lugo, Dilma o perseguitati altri quali Cristina Fernandez, Lula e Milagro Sala. Senza risparmiarsi le forme più apertamente terroristiche, come in Colombia dove centinaia e centinaia di dirigenti sociali e sindacali sono stati assassinati dalle formazioni paramilitari.

MACRI, BOLSONARO: SCONFITTE TRANSITORIE IN AMERICA LATINA

Con l’arrivo di Bolsonaro al governo, con tutta la sua carica reazionaria, su propaganda para-fascista e anticomunista, si pensava che era finalmente chiusa la stagione di progresso rivoluzionario dell’America Latina. Con le dovute diversità il sud del continente è stato un laboratorio diffuso di esperienze democratiche e partecipative, di rotture nette con la dipendenza finanziaria e economica delle banche internazionali, un avanzamento importante del ruolo dello stato e la pianificazione nella economia dei singoli paesi e delle piattaforme di integrazione e di mutuo soccorso create (Alba, Unasur, Celac ecc). Il risultato è stato sorprendente. Milioni di persone sono usciti dall’arretratezza e dall’obblio a cui erano condannati a vita dalle oligarchie, hanno avuto accesso a l’istruzione (totalmente eliminato l’analfabetismo), alla salute (malattie e condizioni derivate dalla povertà sono state ridotte al minimo storico con l’impegno generoso di Cuba socialista), al cibo (il programma fame zero di Lula ha coinvolto milioni di persone ed è stato un successo), alla casa (il governo Maduro consegna l’abitazione a due milioni e mezzo di persone). Inoltre, i popoli originari hanno avuto diritto di parola, di partecipazione mai avuti in tutta la loro esistenza.

Tutte queste trasformazioni hanno fatto crescere la cultura sociale, politica e la creatività dei popoli dell’America Latina; di tutti i popoli, anche di quelli non direttamente coinvolti. E’ cosi che il popolo messicano al momento di votare non si è fatto impressionare dalle minacce di Bolsonaro e Trump, e con forza ha sostenuto Lopez Obrador, stimolandolo ad andare avanti. Appena insediato, AMLO intraprende una campagna determinata contro la corruzione, tagliando stipendi d’oro e affrontando seriamente le ruberie negli oleodotti. Il programma ancora moderato e riformista di Morena, in campagna elettorale, si fa più avanzato nella sfera internazionale. Si insedia in mezzo all’aggravarsi dell’aggressione imperialista al Venezuela, forse sarebbe stata comprensibile una certa prudenza del neopresidente, invece invita Maduro, insieme a Evo e Rodriguez Canel, alla cerimonia di insediamento. E, subito dopo, l’atteggiamento messicano (“i problemi venezuelani vanno risolti dagli stessi venezuelani”) è stato decisivo nel contrastare la pretesa yankee di coinvolgere l’OSA e l’ONU nei piani golpisti. Il voto del Messico ha dato fiducia ai paesi piccoli, dall’Uruguay ai paesi dei Caraibi, CARICOM, e del resto del mondo.

La scesa in campo di Lopez Obrador ha convinto Trump e il vertice reazionario nordamericano che era l’ora di intervenire. La rivoluzione bolivariana e il socialismo del XXI secolo si sono dimostrati assai contagiosi tra i popoli dell’America Latina. Macri, Bolsonaro e il gruppo di Lima sono ostacoli transitori, non sono stati capaci di fermare la diffusione dello spirito rivoluzionario tra le masse. Esse hanno vissuto intensamente tutti questi anni e hanno imparato tantissimo e stimoleranno i grandi movimenti, i sindacati e i partiti a una riflessione seria volta a correggere errori e mancanze e una campagna di ripresa di iniziativa politica e sociale chiaramente antimperialista e socialista, con maggiore partecipazione e coinvolgimento dei lavoratori e una più audace integrazione tra popoli e paesi secondo i propri bisogni, secondo le proprie capacità.

Resta isolato il tentativo golpista USA. Perfino il Papa mette in luce la ipocrisia capitalista quando durante l’Angelus domenicale denuncia la situazione in Yemen. La falsificazione mediatica lascia nell’oscurità una condizione sociale e di vita ben peggiore di quella del Venezuela, per cui invece chiede e grida di intervenire.

Solidarietà piena con il popolo e il governo venezuelano!

Giù le mani del mondo capitalistico dallo Stato rivoluzionario bolivariano!

Brigate internazionali per smontare la campagna denigratoria contro la patria di Chavez!

Pieno sostegno al piano di pace di Messico e l’Uruguay!

 

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