funghiRoma,  14 Marzo 2013. Alle 07 del mattino le sirene della polizia hanno svegliato  il quartiere di Torpignattara. Il reparto della celere ha circondato e sgomberato lo stabile di via Rovetti che  gli studenti della Sapienza avevano liberato e restituito al quartiere poche ore prima.  Durante lo sgombero molti ragazzi, circa una trentina sono stati identificati e denunciati. Le cronache dei fatti non riportano  notizie di scontri e feriti. Nel pomeriggio gli studenti  hanno manifestato pacificamente  per le vie di  Torpignattara  spiegando al quartiere le ragioni dell’occupazione. Gli studenti chiedono da tempo qualcosa di molto semplice e condivisibile che esiste in tutte le città universitarie dell’universo: uno studentato. Siccome a fronte delle tante richieste lo studentato non è mai arrivato, anzi è arrivata una drastica riduzione dei posti già disponibili,  gli studenti hanno fatto un’altra cosa molto semplice e condivisibile:  liberare dalla gabbia delle logiche privatistiche e speculative lo stabile abbandonato di via Rovetti e restituirlo alla socialità sotto la forma di uno studentato. Il progetto si chiama “Mushrooms”,  geniale gioco di parole che coniuga la delicata questione dell’abitare, e più in generale le lotte per i diritti essenziali ormai calpestati e compressi, con l’urgenza di “moltiplicarsi come funghi” per arrivare  alla costituzione di un fronte comune  anticapitalista basato sul ripudio delle politiche recessive dettate dal fondo monetario internazionale. La casa è un diritto e non è  giusto che a Roma uno studente debba pagare 400-500 euro per una stanza quando ci sono 300 000 appartamenti disabitati.  Qui si chiede l’essenziale non la luna. Si chiede di poter disporre di una stanza per poter studiare e vivere degnamente senza essere costretti a chiedere i soldi ai genitori, ammesso che i genitori dispongano delle  risorse finanziare necessarie a sostenere gli studi di un figlio.  Uno studente che è costretto a fare 3 o 4 lavori per mantenersi non è più uno studente è un lavoratore. Viviamo forse il peggiore attacco alla cultura mai portato nella storia Repubblicana. Il recinto degli “aventi diritto” è sempre più stretto , solo i figli della grande borghesia dispongono dei mezzi necessari per affrontare  un percorso di studi normale.  Ormai per accedere a quei diritti sacrosanti che dovrebbero essere garantiti a tutti e che invece diventano il premio di pochi anzi di pochissimi, si innesca una guerra tra poveri utilizzando la leva della meritocrazia.  La meritocrazia come premiazione delle individualità e non come difesa delle diversità, necessarie per un avanzamento collettivo, è solo una sporca copertura dello sfascio sociale. Uno studente costretto a lavorare per metà del tempo come può competere sul piano della crescita formativa con un figlio di papà?  Il problema è chiaramente politico, seguendo le indicazioni della troika e cioè  le indicazioni delle grandi gerarchie capitalistiche e finanziarie stiamo andando esattamente nella direzione della barbarie.  Politiche di arretramento sul piano salariale e sindacale  politiche di  compressione sul piano dei diritti e della democrazia,  le cosiddette “pillole amare”, vengono giustificate in nome di una battaglia di ordine superiore  contro la marziana “congiuntura economica negativa”.  In nome della crisi si chiedono sacrifici e si impone austerità,  ci dicono che poi il futuro ci ripagherà dei sacrifici fatti oggi. No! Basta!  La verità non solo non è quella che ci prospettano ma è diametralmente  opposta.  La crisi non è stata certamente indotta dalle  classi subalterne delle lavoratrici e dei lavoratori, delle precarie e dei precari,  degli studenti  e delle studentesse, la crisi è una crisi del modo di produzione capitalistico. E ad oggi l’unica ricetta per uscire da questa crisi è quella di uscire dal capitalismo. Con le ricette che ci vengono proposte non solo non si esce dalla crisi ma si va nella direzione di un impoverimento di massa con possibili svolte autoritarie e reazionarie. Le politiche di austerità non solo non risolvono  i problemi  ma li aggravano.

 

Pasquale Vecchiarelli

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