recensione film “Guerrilla”
Il 1° Giugno, presso la casa del Popolo di Torpignattara, è avvenuta la proiezione del fim “Guerrilla” del regista bangladeshi Nasiruddin Yusouf, tratto dal romanzo di Nishiddho Lobon e che ha visto la partecipe e numerosa presenza della comunità del Bangladesh residente nel quartiere e non solo. Il film narra gli episodi della indipendenza del Bangladesh e dei suoi eroi nazionali, i Freedom Fighters, ai quali è appartenuto anche il regista. In particolare è il tragico ed epico resoconto della invasione iniziata il 26 marzo 1971 dell’allora denominato Pakistan Orientale (Bengala orientale) da parte dell’esercito pakistano e del conseguente massacro, che prende i contorni di genocidio, delle popolazioni (Indu in particolare) di questa regione (si parla di diversi milioni di vittime). Il patriottico film di Yusouf esalta la guerra di liberazione (in bangla, muktijuddho) e lo arricchisce di episodi autobiografici inframmezzati dalle canzoni indipendentiste di Nazrul Islam.
Il film è imperniato sulla giovane Biklis, intraprendente ma cauta fiancheggiatrice dei Freedom Fighters, che attraverso una serie di sconcertanti visioni e traumatici episodi di brutalità da parte dell’esercito pakistano, fra i quali la morte del suo compagno, assume un atteggiamento sempre più deciso verso l’oppressore e realizza la propria indipendenza attraverso l’estremo sacrificio annientando in essa la grottesca figura del comandante pakistano di turno.
Pellicola dura e tenera al tempo stesso: la richiesta di indipendenza del Pakistan Orientale il 25 Marzo 1971 scatena il giorno seguente l’Operazione Searchlight da parte del governo pakistano. L’operazione è così immediata e il genocidio da parte dell’esercito pakistano così sistematico che molti storici ritengono questo il segno di una premeditazione ben organizzata. Dove avanza l’esercito il popolo fugge, i villaggi vengono incendiati, gli oppositori, anche solo per il fatto di essere Indu, vengono trucidati. Mujibur Rahman eletto democraticamente Presidente del Pakistan Orientale, che prende il nome di Bangladesh, è costretto a rifugiarsi in India. In un susseguirsi di avvenimenti abilmente intrecciati da Yosouf, le figure femminili apparentemente tenere e vulnerabili, assumono un atteggiamento sempre più forte e risolutivo, prendono in mano non solo la situazione e gli avvenimenti ma anche lo spettatore e lo portano ad immedesimarsi con la lotta di liberazione in maniera quasi impercettibile e per questo semplicemente rivoluzionaria: tutti diventiamo in questo film «mukti babini» cioè «partigiani bengalesi”.
In questo film molti compagni avranno accostato le imprese dei mukti babini alla lotta dei partigiani italiani durante l’occupazione nazi-fascista: anche qui azioni di guerriglia urbana si alternano ad azioni di sabotaggio di linee ferroviarie, di stazioni di polizia. Le montagne, le paludi, si rivelano i luoghi più adatti sia per rifugiarsi, sia per affrontare un nemico dotato di forze e mezzi largamente superiori ed è in questo scenario che il film svolge la sua funzione più coinvolgente, dove il punto di forza è rappresentato dal popolo, dalla gente, che pur continuando le loro attività in città, così come in fabbrica o nelle campagne, fanno parte della Resistenza, sono anzi la Resistenza, a cui danno il loro contributo e quasi sempre la vita.
Quello a cui abbiamo assistito con la proiezione sono i tragici avvenimenti di un paese che ha faticosamente e dolorosamente riconquistato la propria indipendenza (perduta nel 1947) e che verrà riconosciuto stato sovrano solo alla fine del 1971 con il nome di Bangladesh, dopo 9 mesi di violenze, massacri, eccidi. Un anno che segnerà anche le future coalizioni governative.
Attualmente lo scenario politico del Bangladesh è dominato dallo scontro di due partiti, la Lega Awami, fondata dal padre dell’indipendenza nazionale, che si dichiara, laica e progressista e il BNP Partito Nazionalista del Bangladesh, filopakistano e antisocialista, alleato dei partiti islamisti. Lega e BNP si scontrano anche in ragione dell’odio che divide i vertici dei due partiti, espressione di clan familiari storicamente contrapposti. Non ci deve sorprendere se in queste circostanze molti bangladeshi cerchino lavoro all’ estero. Vanno soprattutto in Gran Bretagna, dove esistono consistenti gruppi locali. Il loro numero sta crescendo anche in Italia dove erano 84.000 nel 2009 e saranno verosimilmente 118.000 nel 2015. Il Bangladesh è un paese povero e questo non favorisce la promozione sociale dell’individuo. Ma, come si è visto nel film, la figura della donna viene qui messa in risalto, in primo piano. Il Bangladesh è stato governato per dieci anni da una donna, la seconda in Asia dopo la pachistana Benazir Bhutto. Si chiama Khaleda Zia ed è stata primo ministro in due periodi: dal 1991 al 1996 e dal 2001 dal 2006.
Mauro Staroccia