“ATTACCO ALLA FRANCIA”
GLI ATTENTATI SI FERMANO SCATENANDO OFFENSIVE DI PACE.
LA GUERRA PORTATA AVANTI DAI PAESI DELLA NATO E’ IL PROBLEMA, NON LA SOLUZIONE.
IMPEDIRE LA PARTECIPAZIONE DELL’ITALIA NELLA GUERRA
Rifondazione Comunista condanna, senza se e senza ma, l’attentato di Parigi. Questo non può però oscurare un altro fatto incontrovertibile, che la Francia sta operando, da anni, come paese imperialista. La guerra contro la Libia di Gheddafi lo ha reso chiarissimo. L’interesse è quello di non perdere relazioni e affari che si tramandano dal passato coloniale.
Nello scenario politico-militare medio orientale, che oggi dimostra di avere anche un retroterra europeo, si gioca il controllo economico e politico del mondo. Una disputa tra i paesi del blocco della Nato, qualche volta anche in aperta contesa tra di essi, e le due sole potenze in grado di contrastarlo, la Russia e la Cina. Parigi diventa così un campo di battaglia e gli attacchi al Bataclàn delle azioni di guerra che rappresentano una ulteriore escalation nel conflitto mediorientale.
Il coinvolgimento della Francia deriva dalla sua presenza attiva in tutte le aggressioni che i paesi occidentali, USA e Regno Unito in testa, hanno scatenato negli ultimi 25, 30 anni su quel martoriato territorio. Compreso il progetto espansionista dello stato israeliano, realizzato attraverso progressive ed inarrestabili occupazioni del territorio palestinese, e una feroce repressione della resistenza popolare.
L’Isis, che, su questo terreno, si pone, agli occhi di vaste aree della popolazione, come baluardo all’imperialismo dell’occidente, non può certo definirsi un movimento di liberazione. Si tratta di una creatura ambigua, finanziata, se non ora, sicuramente nel recente passato, dalle potenze dell’area Nato, USA in testa e gode di appoggi, neanche tanto nascosti, della Turchia, dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi.
Il movimento jihadista, di cui oggi l’Isis è l’espressione più affermata, si è forgiato in migliaia di campi di addestramento e di battaglia, a cominciare delle prime formazioni talebane che combatterono i sovietici in Afghanistan, nei primi anni 80, passando per la guerra in Bosnia Erzegovina, nel Kossovo, in Cecenia, in Libia e infine in Siria. In tutti questi i paesi, attraverso finanziamenti diretti, vendita di armi, impiego di consiglieri militari, i paesi della Nato, Stati Uniti e Francia in testa, hanno molto contribuito al suo consolidarsi.
Succede spesso che, chi si trova a muoversi sul terreno, approfitti delle mutate condizioni politiche e si renda autonomo. “L’Isis è roba nostra ma ci è sfuggita di mano”, ha dichiarato candidamente Ilary Clinton al giornale web The Atlantic. “È stato un fallimento. Abbiamo fallito nel voler creare una guerriglia anti Assad credibile. Era formata da islamisti, da secolaristi, da gente nel mezzo. Il fallimento di questo progetto ha portato all’orrore a cui stiamo assistendo oggi in Iraq”.
La stessa possibilità di “reclutare” all’interno delle nostre società “democratiche”, richiama a una responsabilità dell’occidente. Il fenomeno non è dovuto alla “arretratezza culturale” dei musulmani, come invoca la destra e la propaganda mediatica, ma alle condizioni che milioni di quei giovani vivono quotidianamente nelle nostre banlieues/periferie: precarietà, mancanza di futuro, oppressione. Agli occhi di quella gioventù, senza speranza, la jihad può rappresentare un mezzo di riscatto, o anche solo un modo per fuggire dalla realtà, come, per altri, è la droga o l’alcool.
Qualcosa però si sta’ muovendo. L’intervento russo in Siria ha scombinato le carte della Nato e degli Usa, ridimensionando il piano iniziale dell’amministrazione americana (Bush jr.), che prevedeva di colpire direttamente la Siria e l’Iran.
Il rapporto di forze sta’ cambiando, più di un milione di rifugiati è tornato nelle proprie case, si è aperto un nuovo spazio per il protagonismo delle masse popolari. In Siria avanzano le milizie popolari iraniane (Basij), libanesi (Hezbollah) e dei sostenitori di Assad, assieme all’esercito regolare; nell’area del Kurdistan le milizie del PKK e FGS, hanno sottratto al Califfato gran parte dei territori precedentemente occupati. Inoltre, i kurdi portano avanti nelle strutture liberate forme nuove di partecipazione popolare, con un inusuale protagonismo delle donne, in tutte le sfere della società. La liberazione militare del paese dall’Isis procede congiuntamente al tentativo di trasformazione rivoluzionaria della società.
Come Rifondazione Comunista sosteniamo, convintamente la resistenza kurda, anche attraverso attività di sostegno economico solidale e siamo convinti che tutto questo potrà costituire uno stimolo al cambiamento in tutto il medio oriente, dall’Iran alla Palestina.
L’attentato a Parigi più che una dimostrazione di forza dell’Isis, indica piuttosto una sua intrinseca debolezza, un atto di pura disperazione. Non si colpiscono obiettivi politici, economici o militari. Si attaccano inermi cittadini. In questo, i morti di Parigi non sono differenti dai turisti russi morti nell’esplosione dell’aereo, o da quelli di Tunisi, di Beirut, di Ankara, della Nigeria, come del resto delle decine di migliaia di civili morti sotto le bombe a Damasco, a Kobane, a Baghdad.
Al netto della tragedia e dello sgomento che il venerdì nero di Parigi ha provocato in tutti noi, per la facile immedesimazione con le vittime, non può sfuggire il fatto che i governi europei, per non parlare delle destre nazionaliste e xenofobe, stanno invocando l’unità nazionale contro il nemico esterno. Chi fa opposizione alle politiche sociali ed economiche dei governi socialisti e liberali è tacciato di disfattismo e collusione con il nemico. Amplificando il messaggio terroristico, paesi come la Francia e il Belgio hanno dichiarato lo stato di emergenza, applicato il coprifuoco in certe ore e in certi luoghi, aumentato i poteri della polizia e della magistratura inquirente, limitato le libertà personali e la normativa sulla privacy, proceduto ad espulsioni amministrative su immigrati sospetti.
Bisogna invece riprendersi le piazze, come fanno i parigini che si rifiutano di abbandonare Place de la Republique.
Bisogna chiedere il ritiro delle forze Nato da tutto il medio oriente, tagliare le spese militari, avviare politiche di cooperazione economica, fermare la depredazione delle risorse naturali. Insomma fare esattamente il contrario di quanto sin qui fatto.