FrancaRame

“Teatro, realtà e impegno politico”: perché sentiremo la mancanza di Franca Rame

30 maggio 2013

di Carlo D’Andreis da LiberaRoma

La notizia della morte di Franca Rame mi ha colto di sopresa, come credo molti che la stimavano e l’amavano. Occorre quindi fermarsi a riflettere per sciogliere quell’impasto di commozione e inquietudine, di senso di perdita e necessità di capire il valore di una donna, impegnata politicamente, e di una artista che ci ha dato così tanto.
Non si può non partire dal fatto che il mondo non è più lo stesso da quando non c’è più Franca: a guardarlo e a giudicarlo con la sua sensibilità, perché questo è quello che succede quando ci lasciano coloro che abbiamo sempre ammirato e che erano nostri modelli, erano un pezzo di noi stessi, perché solo loro sapevano toccare certe corde che non vibreranno mai più se non nel loro ricordo.
Ricordo, solo per dirne alcuni, il monologo di “Maria sotto la croce” a cui nessuno come lei sapeva restituire l’umana disperazione di una madre a cui uccidono il figlio, la disperazione che supera ogni altra cosa e che abbiamo ritrovato nel contemporaneo ruolo di “Madre coraggio” dove Franca prestava la voce ad una madre che ha perso il figlio in guerra. La scanzonata Rame de “La mamma fricchetona” e ancora nei ruoli più “leggeri”, quelli ironici e dissacranti di “Tutta casa, letto e chiesa” o “Sesso? grazie tanto per gradire”: un interprete insostituibile.
Sono orgoglioso e onorato di essere stato un suo contemporaneo, e di essere uno dei tanti che ha respirato la polvere del palcoscenico come tecnico delle luci. Mi sarebbe piaciuto un giorno incontrarla ed è per questo che ho bisogno di scriverle, perché Franca ci ha insegnato che la parola è l’esigenza di dirla, con il suo modo unico e inconfondibile, con un senso del ritmo che rivelava il ritmo del senso. Non c’era spettacolo nella sua recitazione ma vita, la vita straordinaria di una persona spettacolare; un’artista di talento, l’attrice migliore che il teatro ha conosciuto, ma anche la donna meravigliosa che si è battuta per i diritti dei lavoratori, per l’antifascismo, per la giustizia, per la pace, per i disabili, per le energie rinnovabili, contro gli sprechi, per l’emancipazione di tutto un paese e in particolare delle donne e per tutto questo era già morta una volta e ce lo raccontava con immenso coraggio e generosità in un monologo struggente: “Lo stupro”, dove riviveva quei maledetti momenti del sequestro, della violenza, dell’umiliazione, per dare voce a quelle donne che rimangono in silenzio, che non hanno la forza di denunciare, di reagire.
Oggi più che mai ci sarebbe bisogno di attori che attraverso la loro arte riescano a mettere in luce le contraddizioni del nostro tempo, attori e drammaturghi che riescano a mettere a nudo i veri responsabili di questo disastro, che ci aiutino a trovare la via di uscita da questa crisi, che ci aprano quelle porte chiuse magari attraverso una chiave teatrale, perché la crisi non è mai solo economica ma è sempre anche culturale, al contrario di quello che vorrebbero farci credere i re dell’intrattenimento spicciolo e superficiale, i “maghi” dell’evasione dai problemi, dalle nostre vite, dal pensiero. Perché il teatro deve parlare dei suoi tempi e dei problemi delle persone che li vivono, come ci ha insegnato Franca con il suo impegno sociale che scendeva dalla ribalta del palcoscenico per tornarci sopra ancora più ricco di elementi, di spunti di riflessione, un teatro che era fatto di inchiesta e di dibattito.
Franca era nata e cresciuta sulle tavole di un palcoscenico e aveva portato il teatro ovunque c’erano istanze o ingiustizie che dovevano essere raccontate: nelle fabbriche, in piazza, nelle Case del Popolo, nella Palazzina Liberti, insieme al suo compagno di vita e di scena, il grande e carissimo Dario Fo, a lui e a Jacopo va tutto il mio affetto.
Quando Franca è entrata in Parlamento, ho pensato che potesse succedere di tutto, che il mondo stava cambiando, che la politica potesse tornare a essere una cosa alta, nobile. Ci ha raccontato di quei giorni, nei suoi diari, con una semplicità e un’umiltà che appartengono solo alle persone eccezionali.

commento di Giorgio Ceriani

Noi (Giorgio e famiglia ndr), arrivati in Italia a fine degli anni 70, inizio degli 80, abbiamo conosciuto un paese molto più chiaramente espressivo. Ci sono alcune cose che subito ci hanno fatto amare questa nazione e la sua gente.Ricordo che durante il terremoto dell’Irpinia, le masse di tutto il paese, con in testa i comunisti e le “giunte rosse” , risolvevano in poche ore le sofferenze dei campani. Poi la classe operaia: appena arrivati abbiamo partecipato ad una manifestazione della CGIL a Bologna, un compagno di Firenze smarrisce il portafoglio con dentro l’intero stipendio. Il giorno dopo lo chiamano a casa: è un lavoratore bolognese che l’ha trovato e che lo restituisce intatto.
Poi il teatro di Dario e Franca. Siamo andati a vederli al teatro tenda, che oggi non c’è più. Franca sapeva occupare uno spazio importante, un ruolo di peso, recitando insieme a Fo. Cosa non semplice. Finito lo spettacolo ti sentivi diverso da quando eri entrato. Eri stato travolto da emozioni e sentimenti che ti spingevano a far le cose, dai rapporti umani alla militanza sociale e politica, meglio di prima. Poi l’ottimismo in un futuro diverso.
Certo, come dice Carlo, se ne vanno pezzi importanti di noi; che con i tempi che corrono sono veri strappi, ti colpiscono seriamente.
Bisogna ricostruire quelle condizioni della società che hanno permesso l’emergere di personalità come Franca, gli imprescindibili di sempre.

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